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A differenza da quanto avvenuto al quartiere di Decima a Roma, a Mazzorbo non era presente un comitato di quartiere o un’associazione che potesse fare da tramite con gli abitanti, l’approccio è stato quello di “frequentare” il quartiere e, attraverso numerosi sopralluoghi e un lavoro quasi “porta a porta”, incontrare e coinvolgere gli abitanti. Nella strada pedonale, chiamata “calle larga”, un tempo erano presenti alcune attività commerciali e di servizi che rendevano vivo lo spazio, oggi è rimasto attivo solo un piccolo alimentari che rappresenta un po’ il punto di riferimento per gli abitanti. Attraverso l’ascolto di alcuni degli abitanti e soprattutto attraverso l’osservazione della vita del quartiere nelle diverse ore del giorno, si è potuto costruire un primo scenario di indagine che è stato utile per costruire la mappa multilivello di Mazzorbo.

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Durante i sopralluoghi e le conversazioni con gli abitanti sono emerse alcune criticità soprattutto derivanti dal senso di isolamento reale e percepito. Il quartiere infatti, seppur collegato con un ponte pedonale di recente ristrutturazione con l’isola di Murano e con il resto della laguna con un servizio pubblico con una frequenza media di 30min, non ha un micro tessuto di servizi tale da garantirne l’autonomia. Vi è un centro sportivo con palestra ben attrezzato, ma la mancanza di attività commerciali, di strutture ricreative e di socialità rendono difficile trovare spazi e soprattutto, luoghi di socializzazione attiva.

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In generale c’è stata una difficoltà, da parte degli abitanti, a parlare del “passato”, del quartiere in relazione alle singole storie delle famiglie che sono venute ad abitare a Mazzorbo alla fine degli anni ‘80. Quello che è emerso è che, l’entusiasmo dei primi abitanti per l’assegnazione di una casa che rispondesse alle loro esigenze, non è stato accompagnato da un percorso in grado di aiutare gli abitanti stessi a “colonizzare” gli spazi a disposizione. Mentre le singole abitazioni sono nel complesso ben tenute e curate, gli spazi semi-pubblici delle calle vengono spesso percepiti come “terra di nessuno” e non, come previsto dal progetto di De Carlo, come prolungamento della singola abitazione.

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In occasione del progetto “Abitare per” siamo riusciti ad organizzare una sessione di workshop in una delle calle, questo piccolo “evento” hasorpreso gli abitanti stessi che hanno ricordato come, in quei luoghi, venivano organizzate piccole cene di quartiere, una prassi che è andata perduta nel tempo per la difficoltà intercorse nella gestione degli spazi stessi.

La mancanza di un comitato di quartiere che funga da mediatore nei rapporti con l’Ater e come promotore di iniziative socio-culturali, ha generato negli abitanti un senso di apatia e sfiducia che siamo riusciti, solo in parte, a superare. Infatti, dopo una prima fase di diffidenza, alcuni degli abitanti hanno collaborato attivamente al progetto facendo emergere alcune possibilità per migliorare la vita del quartiere. Tra queste la necessità di avviare una collaborazione con il Comune di Venezia e l’Ater per assegnare, agli abitanti stessi, la manutenzione delle aree verdi e delle calle interne del quartiere, un’attività che alcuni di loro già fanno spontaneamente, ma che vorrebbero fosse supportata dagli Enti. L’urgenza di rifunzionalizzare gli spazi ai piani terra per restituire un uso comune alla Calle larga, prevedendo anche l’assegnazione dei locali a associazioni e onlus operanti nel settore cultura e sociale. Ed infine la necessità di individuare uno spazio da adibire a centro sociale e ritrovo degli abitanti. Nei pressi del quartiere è già presente un campo da bocce con una piccola struttura in legno abbandonata che potrebbe, almeno nei mesi estivi, divenire un punto di riferimento e di svago per gli abitanti.

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La cura delle soluzioni spaziali ed architettoniche previste dal progetto di De Carlo fanno di Mazzorbo un quartiere “in attesa”: un quartiere dalle grandi possibilità mancate. Addentrandoci nei suoi spazi, sia interni che esterni, ci siamo resi conto di quanto si potrebbe fare rimettendo a sistema gli spazi pubblici con la vita quotidiana dei suoi abitanti, rendendoli luoghi “confidenziali” dove ritrovare quel senso di vivacità sociale che struttura il senso di comunità dei luoghi.